La forma delle parole

Abbandóno s. m. 1. Troncamento di un rapporto di convivenza, o di una responsabilità: a. del tetto coniugale; a. della nave; a. del posto di lavoro ~ Nel codice penale militare: a. del comando, a. di posto ~ Lasciare in a., abbandonare (con un accento di squallore o di incuria) ⧫ Degrado, desolazione, solitudine: una casa, un podere in a. ⧫ arc. In a., alla mercé, in balìa. 2. fig. Rinuncia al controllo e alla guida di se stesso; scoramento, sfiducia: vivere nell’a. ~ Atteggiamento inerte o passivo ~ Cedimento totale: l’a. ai vizi, alle passioni ~ Languido smarrimento: Sorprese negli occhi della sconosciuta tale palese abbandono che ne arrossì (Palazzeschi) ⧫ part. In diritto, atto di cessione o di rinuncia. 3. Il ritiro volontario di un atleta o di una squadra da una competizione sportiva; part., di pugile che rinuncia a proseguire l’incontro: ha vinto per a. dell’avversario. 4. In psicanalisi, trauma inconscio nel figlio abbandonato dalla madre. [Der. di abbandonare].

Effimero (o efìmero) agg. Di breve durata, labile, caduco: gloria, speranza e. ~ Anche s. m. con valore neutro, il momento presente considerato nella sua caducità e illusorietà: strane dove l’effimero ci porta. Si mettono radici, rami, foglie (Luzi); part., il complesso degli spetttacoli e delle manifestazioni che, ciclicamente e per brevi periodi, animano gli spazi monumentali delle grandi città: l’Estate Romana è il prototipo della cultura dell’e.; estens., ogni intervento (architettonico, scenografico, urbanistico) che modifica uno spazio o un ambiente e che è caratterizzato nel contempo dalla fastosità e dalla breve durata: e. teatrale, e. urbano; ⧫ prop. Che dura un sol giorno: febbre e. (o l’effimera s.f.), denominazione, disusata, di una malattia di origine infettiva, contrassegnata da un accesso febbrile di breve durata (12-48 ore) ~ In zoologia, di insetto la cui vita allo stadio adulto si riduce a poche ore ~ In botanica, di fiore che resta aperto poche ore e quindi appassisce; estens. anche di pianta (per es. la calderugia) che compie il suo intero ciclo vitale nel giro di due o tre mesi. [Dal gr. ephếmeros ‘di un solo giorno’].

Etèreo (arc. etèrio) agg. 1. Pertinente all’etere, secondo la concezione degli antichi: regioni e.; poet., del cielo: l’etereo padiglione (Foscolo) ~ estens. Immacolato, limpidissimo: una e. bellezza; una luce e.; celeste, diafano, incorporeo: una creatura e. ⧫ Di elemento o fatto tecnologico che consenta l’eliminazione degli interventi manuali: comandi e. 2. Dell’etere cosmico: vibrazioni e. [Dal gr. aithérios].

Illusióne s.f. 1. Proiezione in ambito immaginario di elementi che non troveranno corrispondenza nella realtà contingente: vivere di illusioni. 2. Percezione od opinione falsata da un errore dei sensi o della mente: la prospettiva in pittura dà l’i. della profondità; è un’i. che le cose vadano come dici tu; i. ottica, errore nella valutazione della forma o delle dimensioni di un oggetto, a cui si è indotti da particolari caratteristiche geometriche di questo, che suggeriscono confronti ingannevoli fra le sue parti. 3. arc. Derisione. [Dal lat. illusio -onis ‘ironia’]

Incorporeo agg. Esente da qualsiasi determinazione e funzione materiale: la natura i. degli angeli. [Dal lat. tardo incorporĕus, comp. di in-¹ e corporĕus ‘corporeo’].

Inganno s.m. 1. Presentazione falsata della verità; frode, errore: cadere, trarre in i.; lusinga, illusione: gli inganni dei sensi. 2. In musica: cadenza d’i., quella che si risolve in armonie diverse da quella prevedibile. 3. Particolare genere di disegno, più noto col nome francese di trompe-l’oeil. [Der. di ingannare].

Làbile agg. 1. Destinato a rapida scomparsa o a imminente dissolvimento: i l. beni mondani; memoria l., scarsamente ritentiva ⧫ arc. Facile a cadere in colpa: sono naturalmente le femine tutte labili (Boccaccio). 2. lett. Che scorre rapido e leggero: al sussurro canoro Del labile rivo (Pascoli). 3. In chimica: composto l., lo stesso che composto instabile; anche, che tende a disperdersi. 4. In psicologia, di soggetto emotivamente fragile e influenzabile. [Dal lat. labĭlis, der. di labi ‘scivolare, cadere’].

Malinconìa (o malenconìa, melanconìa; arc. melancolìa) s.f. 1. Stato d’animo di vaga tristezza, spesso alimentato dall’indugio rassegnato o addirittura compiaciuto, nell’ambito di sentimenti d’inquietudine o delusione: la m. dei romantici ⧫ Senza alcun valore sentimentale, motivo di deprimente monotonia: che m. questa pioggia! ⧫ Stato d’animo di sconsolato e pessimistico abbandono: lasciarsi prendere dalla m. ⧫ Anticamente, l’umor nero, uno dei quattro umori generati dall’organismo umano, cui si attribuivano malefici e spesso fatali influssi sulle funzioni vitali. 2. Come malattia psichica, V. MELANCONIA. [Dal gr. melankolía, comp. di mélas ‘nero’ e kholḗ ‘bile’; propr. “bile nera”].

Oblìo (raro obblìo) s. m. Dimenticanza (con un accentuato senso di abbandono da parte del pensiero, ma anche da parte dei sentimenti e degli affetti): Passa la nave mia colma d’oblio (Petrarca) ⧫ estens. Abbandono, assopimento (con una sfumatura d’intensa dolcezza). [Der. di obliare].

Ricòrdo s. m. 1. Impronta di una singola vicenda o esperienza o di un complesso di vicende ed esperienze del passato, conservata nella coscienza e rievocata alla mente dalla memoria, con più o meno intensa partecipazione affettiva: il r. dei cari estinti, del fratello lontano; mi è rimasto un pessimo r. di quella serata; i vecchi vivono di ricordi ⧫ Richiamo alla memoria, da intendersi come ausilio a una eventuale dimenticanza (fare un nodo al fazzoletto per r.), come testimonianza di un rapporto affettivo (morendo mi lasciò in r. il suo orologio) o come menzione o considerazione positiva o doverosa (fatto degno di r.). 2. concr. Annotazione intesa a richiamare o conservare la memoria di un fatto: tenere r. delle spese mensili ⧫ Oggetto da conservarsi per memoria di un luogo, di un fatto, ecc.: ricordi per i turisti; anche come agg. (invar.): francobollo r.; foto r. ~ part. Dono da tenersi come segno o testimonianza d’affetto: un caro r. di famiglia ⧫ Traccia o segno residuo, spec. di cose spiacevoli: questo graffio è un r. del tuo gatto ⧫ Testimonianza oggettiva di un passato, vestigia: i r. dell’antica grandezza di Roma. [Der. di ricordare].

Sospéso agg. 1. Pendente verso il basso in quanto fornito di un semplice e unico mezzo di sostegno all’estremità superiore, spesso con un’idea di precarietà o d’instabilità: rimanere s. nel vuoto; ponte s., sostenuto da funi metalliche; fig.: la nostra vita è s. a un filo. 2. fig. Temporaneamente revocato: tutte le licenze sono s. ⧫ In attesa di una definizione o di un espletamento, spec. nella loc. in sospeso: tenere in s. una pratica ⧫ In uno stato di incertezza ansiosa (stare con l’animo s.) o di estrema precarietà (essere s. tra la vita e la morte). [Lat. suspensus, p. pass. di suspendĕre ‘sospendere’].

Sguardo s. m. 1. La direzione o l’espressione dell’atto visivo: rivolgere, dare uno s.; uno s. pieno d’odio; com., occhiata rapida e sommaria: dare uno s. al giornale; al primo s., a prima vista. 2. estens. La capacità visiva: fin dove arriva lo s.; anche, gli occhi: alzare, abbassare lo s. ⧫ Campo disponibile alla vista; veduta: di lassù si gode un bellissimo s. su tutta la vallata. [Der. di sguardare].

Vago agg. (pl. m. -ghi). 1. Incerto, indeterminato, impreciso: accennare in modo v.; per ora non mi ha fatto che v. promesse; ne ebbi un v. presentimento; talvolta come s. m.: cadere nel v.; tenersi, restare nel v. ⧫ lett. Mobile, instabile, errante: Le stelle vaghe e lor viaggio torto (Petrarca). 2. Attraente, adorno, con una sfumatura onirica d’incanto o di allettamento: assai contenta, Di quel vago avvenir che in mente avevi (Leopardi); quando vaghe di lusinghe innanzi A me non danzeran l’ore future (Foscolo) ⧫ Preposto al sostantivo, sia riferito a persona o ai suoi atti che a cose, leggiadro, di una bellezza non vistosa ma intimamente ammirata o accarezzata, mista di grazia e dolcezza: O vaghe montanine pasturelle Donde venite sì leggiadre e belle? (Sacchetti); Lampeggiò d’un sì dolce e vago riso Che i monti avre’ fatto ir, restare il sole (Poliziano); Vaghe stelle dell’Orsa (Leopardi). 3. lett. Incline, desideroso, voglioso, spesso come attributo naturale o costante: delle femine era così vago come sono i cani de’ bastoni (Boccaccio); seguito da un infinito, sottolinea invece un’improvvisa voglia o desiderio momentaneo: all’ombra che parea più vaga Di ragionar drizza’mi (Dante). 4. non com. Come s. m., innamorato, amante: ‘Vedi tu quello scioccone? Egli è mio vago’ (Boccaccio). [Dal lat. vagus ‘vagante, instabile; indeterminato’].

Le definizioni sono tratte dal Dizionario della lingua italiana di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, (edizioni Le Monnier,) 1990

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