Alle soglie dell’esistenza

Alle soglie dell’esistenza

Bruno Lucca (Nove, Vicenza, 1961) risiede oggi nel capoluogo veneto, dove condivide con Daniele Monarca uno spazio di lavoro d’eccezione: in un convento medievale nel cuore della città, Lucca “dipinge” nel senso più antico e tradizionale del termine, trasponendo sulla tela una riflessione profonda sul rapporto tra segno e significato.
«Pittore di ombre» è l’epiteto con cui Michele Bonuomo sintetizza la cifra artistica di Lucca. «O, meglio, (…) pittore di paesaggi composti da solitarie e metafisiche ombre». È vero, d’altra parte, che le pur molteplici sfumature semantiche che il termine “ombra” abbraccia – un dizionario come il Devoto Oli ne riporta ben 21 – non esauriscono le profondità concettuali da cui emergono i Paesaggi (2000-2008), le Serre (2008-2009) e le Astrazioni (a partire dal 2010) di cui Lucca è autore.
Né è sufficiente il riferimento, pur pertinente, al tòpos del phantasma (Zanchetta), entità prossima all’ombra, «produzione immaginaria che contiene l’appagamento di un desiderio inconscio».
Come spesso accade, la tensione alla contemplazione non discende dalla complessità ma dal suo opposto, l’estrema sintesi del segno. Immune alle mode iperrealiste, conoscitore consapevole dell’informale, Lucca si addentra in un percorso di «sottrazione rappresentativa» dal quale emergono figure (antropomorfe o meno) «tra la presenza e l’assenza», ai confini dell’universo figurativo.
La soglia, quale condizione liminale di trasformazione, è il luogo e il tempo nel quale sono sospese le silhouettes di Lucca, colte nell’atto di apparire o di dissolversi. La pittura a base di olio di lino, stesa sul supporto di tela (secondo un procedimento direttamente ispirato alle tecniche pittoriche tradizionali, piuttosto che alle tante sperimentazioni contemporanee) asseconda con straordinaria coerenza la poetica dell’autore. La cristallizzazione del colore ai margini della campitura determina una sfumatura, un alone digradante ricco di significati.
Se nel caso dei Paesaggi l’aureola che circonda i corpi testimonia del rifiuto del contorno quale segno staticamente descrittivo, nelle Serre l’inversione del rapporto figura-sfondo genera inattesi effetti luministici, inquadrati in tratti delicati di pastello bianco. Le Astrazioni sembrano, ad un primo sguardo, tradire le attese di un completo abbandono della figuratività che il loro titolo suggerisce.
Al contrario, l’outline e la campitura si affiancano nello spazio della tela e vi descrivono malinconiche Madonne dal capo chino ed altri personaggi appartenenti all’iconografia della statuaria cimiteriale. Rispetto alle icone umane dei paesaggi, squisitamente bidimensionali nella loro inconsistenza, le figure sacre delle Astrazioni si arricchiscono di chiaroscuro e tridimensionalità ed emergono dalla tela con potenza a tratti scultorea. L’astrazione, in questo caso, non è da intendersi in senso figurativo ma in riferimento alla dimensione immateriale e spirituale di cui i soggetti dei dipinti sono simbolo.
In un territorio ai limiti tra figura e forma, figuratività e astrazione, segno e significato, Lucca dipinge la nostalgia e la paura della perdita. Particolarmente esemplificativo della centralità di questa tematica è, ad esempio, Una sfumatura di intensa dolcezza, il piccolo volume da lui realizzato nel 2008. La pittura ad olio stesa sul primo foglio trapassa la carta perdendo d’intensità ad ogni passaggio: così, al termine del libro, della figura umana dai contorni nitidi resta poco più che un’incerta patina giallastra, come se il tempo l’avesse consunta fino a farla scomparire.
Al contempo, Lucca afferma la risoluta volontà di esserci, di esistere: questo dichiarano la quieta armonia dei suoi quadri e la tensione (implicita, ma evidente) all’estetizzazione del limen tra l’esistenza e il nulla. Le ombre dei Paesaggi permangono ancora, pur meno dense della realtà fisica che le proietta; i bagliori che rischiarano l’oscurità delle Serre fanno brillare la vita che in esse è contenuta; infine, nelle Astrazioni, la reiterazione dei tratti affiancati (che, al limite, tendono a farsi campitura) rivendica le potenzialità analitiche del segno, che contiene e delimita l’inconsistenza inafferrabile del pulviscolo.

Alessandro Benetti

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